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I FANTASMI DELL’ENICHEM

CHIEDONO DI ESSERE ASCOLTATI



    Scrivo queste righe perché non mi hanno concesso di dormire. In questa notte così fredda, sferzata da un soffio glaciale che fa fischiare gli alberi, hanno ritenuto che, dopo la lettura del libro di Giulio Di Luzio, non potessi tacitarmi nel sonno. Mi hanno tenuto sveglio i fantasmi, che disturbano poco il sonno di tanti nostri concittadini e dovrebbero, invece, agitare il riposo di tutti. Quei fantasmi, in piena notte, mi hanno scaraventato giù dal letto e non ho potuto sottrarmi al dovere di rendere loro giustizia, quando chiedono di essere ascoltati.
    Un giorno essi avevano un nome. Uno si chiamava Nicola, capoturno nel reparto insaccati fertilizzanti, che prima degli altri ha capito l’inganno a cui aveva soggiaciuto e la necessità di cercare un riscatto attraverso la ribellione al potere padronale ed alla subalternità sindacale, morto a 49 anni per cancro al polmone; Carlo, un milanese che si trasferisce al Sud per lavorare come strumentista, gli viene riscontrato un adenocarcinoma polmonare con metastasi ossee diffuse, muore a 71 anni; Antonio, più di 25 anni di lavoro all’EniChem nel reparto “insacco”, al Centro tumori di Milano gli viene diagnosticato un adenocarcinoma polmonare, con metastasi addominale e cerebrale, morto a 53 anni; Attilio, di Gela, uomo colto, occupava qualsiasi mansione, ha fatto di tutto in fabbrica, perfino il contabile ed il disegnatore, a Milano gli diagnosticano un tumore in fase terminale, muore a 51 anni; Antonio, prima dipendente di una ditta appaltatrice e, poi, direttamente dell’azienda di Stato, era addetto alla manutenzione degli impianti; dopo i soliti controlli fasulli aziendali, alla Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo gli scoprono un nodulo al polmone, va in prepensionamento a 55 anni e muore il 21 settembre ’98; Michele, dopo aver lasciato la sua officina meccanica, si fa assumere come turnista montatore ed aggiustatore per raggiungere il sogno di uno stipendio fisso, si licenzierà dalla fabbrica dopo soli sette anni, ma qualche anno dopo gli venne diagnosticato un tumore alla laringe, morirà a 45 anni; Michele, lavorava al reparto “insacco” concimi e fertilizzanti, dopo aver girato molti ospedali si rassegna alla malattia inesorabile, muore a 44 anni. Ad essi potremmo aggiungere i nomi di altri operai, che fortunatamente sono ancora con noi: Antonio, lasciò la pesca abbagliato dal miraggio di un posto sicuro, gli sarà riscontrato un carcinoma laringeo, non può parlare molto, ma abbastanza per dire che la fabbrica li aveva cambiati “ognuno pensava a sé ed alla carriera, tra di noi ci si sentiva solo quando qualcuno stava morendo…”; Renato, lavorava nella cooperativa di facchinaggio ed operava nei cunicoli della grattatrice dell’urea, gli è stato riscontrato un tumore dietro l’orecchio; Ugo parla con una certa difficoltà, è il risultato di lunghi cicli di chemio/radioterapia e dei danni provocato dalla malattia per un tumore alle corde vocali; Donato, è stato tra i primi ad entrare in fabbrica e gli scoprono grandi quantità di arsenico nel sangue, non può fare passeggiate, non può sottoporsi a sforzi, rischia la paralisi ai quattro arti ed ha una specie di corrosione ai nervi.
    Sono soltanto alcuni nomi di tutti gli operai che hanno subito la violenza irresponsabile di chi ha considerato i lavoratori carne da macello; ad essi dovremmo aggiungere tanti concittadini e nostri familiari toccati da una sorte simile, senza essere mai stati operai dell’EniChem.
    Ma ora il problema non è questo. Occorre dare ai nostri fantasmi una voce e questa volta la voce è fatta di ascolto, di memoria, di piaghe che non vanno nascoste. Perché quello che ci chiedono questo nostri conterranei, che hanno subito conseguenze gravissime dall’inquinamento, non è qualcosa per loro. Ci chiedono che il loro esempio, e quello coraggioso dei loro familiari che hanno deciso di parlare rifiutando blandizie ed offerte di posti per i propri figli, non vada disperso o sottaciuto o esorcizzato.
    Questa città ha recentemente dimostrato di avere una classe politica ed un ceto intellettuale troppo supini agli interessi dei potenti, altrimenti non sarebbe stata possibile quella seconda colonizzazione che va sotto il nome di Contratto d’Area, con le stesse caratteristiche del passato: dal ricatto occupazionale, all’incanto di promesse di lavoro in quantità ben superiore alle attese reali, all’insediamento della Vetreria Sangalli, considerata ad alto rischio, e decine di altre industrie fortemente inquinanti ed insalubri a poche centinaia di metri dall’abitato, fino alla realizzazione di una centrale elettrica-inceneritore a biomasse della Marcegaglia. Un vero e proprio imperialismo industriale si è nuovamente abbattuto sul nostro territorio, già compromesso dall’industria di Stato, non già per soddisfare la fame di lavoro dei suoi abitanti, ma per portarlo all’estremo degrado.
    Com’è stato possibile che accedesse tutto questo? Dov’è finito l’insegnamento di Nicola Lovecchio e dei lavoratori che hanno rifiutato ricompense, per portare avanti la loro battaglia di civiltà a favore della propria terra, di altri cittadini?
    C’è un modo per cominciare a rilanciare la memoria di questa città, che ha saputo - questo bisogna dirlo con orgoglio - promuovere grandi lotte per il riscatto della propria terra. Dobbiamo ripartire dai giovani. Occorre aver fiducia nei giovani. Il modo per riappropriarci della nostra memoria, della nostra storia è l’adozione in tutte le scuole di Manfredonia, di Monte Sant’Angelo, dell’intera provincia, particolarmente negli istituti superiori, del bellissimo libro di Giulio Di Luzio, da far leggere ai nostri studenti sia come opera di narrativa, vista la piacevolezza della lettura ed il rigore della ricerca, sia come testo di educazione civica. Anche questo vuol dire autonomia scolastica: collegarsi alle esperienze vive del territorio per trarne insegnamento valido qui ed altrove. Per non dimenticare e creare le condizioni affinché la nostra città, prima possibile, riprenda il lungo cammino che la riporterà fuori dal vicolo davvero cieco in cui s’è cacciata, procedendo, finalmente a schiena dritta e consapevole della propria bellezza, verso uno sviluppo compatibile e senza avventurismi.

NOTA 1: Notizie tratte dal libro di Giulio Di Luzio, I Fantasmi dell’EniChem, Baldini e Castoldi, 13,40.

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